le radici della pianura 3, Satricum

5 date da ricordare:
1896: scoperta di Satricum
1977: scoperta del “Lapis Satricanum”
IX secolo a.C.: costruzione del villaggio che poi sarà Satricum
2003: inaugurazione del percorso di visita del sito e dell’esposizione introduttiva.
2006: inaugurazione del centro documentario del sito.
Parlare del sito di Satricum significa sfatare tanti miti quanti ne hanno sfatati la sua scoperta.
Primo mito: Satricum è il sito archeologico della città di Latina e come tale testimonianza del fatto che la pianura Pontina non era esattamente una palude malarica disabitata ma, anzi, trovava spazio per una città fiorente ed era sede di una rete di strade che la collegava al Nord ed al Sud.
Secondo mito: La prima fase costruttiva di Satricum risale al IX-VIII secolo a.C.. Se consideriamo che i Romani hanno cominciato la loro espansione nel III sec. a.C., se ne deduce che non sono stati i primi e gli unici a popolare la pianura prima del 1800, e questo senza considerare la preistoria!
All’epoca della fondazione e dello sviluppo di Satricum, l’Italia ruotava intorno a due grandi centri culturali: quello Etrusco (che cominciava subito a Nord di Roma) e quello Magno Greco (che cominciava già a sud di Terracina). Ma oltre a questi due mondi in stretta comunicazione col Mediterraneo, esistevano svariati popoli che fondavano la loro economia sulla pastorizia e sull’agricoltura e che abitavano l’entroterra italiano: i popoli Italici appunto. I Volsci erano tra questi e, forse, erano anche tra i più potenti e importanti. Satricum era una città Volsca, fondata dai Volsci e, per questo, in continuo conflitto con Roma, una città che ha vissuto il suo splendore in un periodo abbastanza turbolento, in bilico tra identità Italica e conquiste Romane ma che ha sempre avuto come punto fermo della sua identità il tempio della Mater Matuta, centro nevralgico della religione della pianura intera. (vedi approfondimento storico).
Tuttavia il sito non era solo il suo tempio, era una vera e propria città che gli scavi archeologici condotti dalle Università olandesi stanno riportando alla luce.
Terzo mito da sfatare: gli Olandesi non sono venuti qui di propria spontanea volontà a spogliare il nostro sito ma sono stati invitati a condurre una ricerca scientifica per nostro conto. Per capirlo, bisogna conoscere la storia delle ricerche:
- Satricum fu scoperta nel 1896 da Hector Graillot che individuò il tempio della Mater Matuta sulla collina delle Ferriere. Felice Barnabei, Adolfo Cozza e Raniero Mengarelli condussero le prime ricerche (1896-98) che portarono alla luce tombe, capanne ed ovviamente il tempio stesso.
-Seguì un periodo di buio, una sorta di pausa di riflessione dell’archeologia che in quegli anni andava maturandosi verso il suo stadio “scientifico” e non solo di “razzia colta di reperti”. Le ricerche ripresero con Giulio Iacopi (1937) prima e con Maria Santangelo poi ma niente di davvero importante fu realizzato.
-A questo punto entrano in gioco gli Olandesi: negli anni sessanta e settanta l’area archeologica venne trasformata in vigneto. Allarmato per il pericolo di distruzione, il neonato “Comitato per l’Archeologia Laziale” (nato nel 1974) chiese all’Istituto Olandese di Roma di riprendere le ricerche per salvare e tutelare il sito il più possibile.
- Già nella prima campagna di scavo, Conrad Stibbe, riuscì a portare alla luce forse il più importante reperto della città: il “Lapis Satricanum”, una iscrizione in latino arcaico dedicata a Pubblio Valerio.
- le ricerche da parte Olandese sono andate avanti e continuano tuttora, prima in collaborazione con l’Università di Groningen (Marianne Kleibrink) e poi con l’Università di Amsterdam guidati dalla Dott.ssa Marijke Gnade.
Insomma, nessuno è venuto a trafugare niente e nulla avviene senza autorizzazione da parte Italiana sul sito di Satricum, semmai dovremmo ringraziare chi porta avanti un lavoro che dovremmo fare noi in quanto fortunati eredi di una storia così ricca.
Alcune domande: Come mai Satricum fu così importante sebbene oggi non le diamo abbastanza peso? La risposta è quasi banale: per le stesse ragioni per cui, in epoche storiche più recenti, si è deciso di investire sulla pianura Pontina rendendola il polo industriale di Roma ed un enorme territorio coltivabile che ha permesso lo sviluppo di borghi, paesi e città anche importanti, la posizione geografica favorevole.
Come fanno gli archeologi a comprendere se una città è Volsca oppure Romana? E come possono avere un quadro definito degli avvenimenti storici che la hanno interessata?
In effetti, le prime evidenze che si indagano in un sito sono quelle che dovrebbero essere più distintive e determinati da un punto di vista storico oltre che più spettacolari e piacevoli da ammirare: i tepli e le tombe. E Satricum non è avara in questo senso: il tempio della Mater Matuta e le numerose necropoli della città bastano ad avere un quadro preciso degli avvenimenti che l’hanno interessata e dei popoli coinvolti.
Per concludere questo viaggio nel passato allora, lasciamoci guidare dall’Archeologia. Il tempio di Satricum era dedicato ad una divinità che aveva una importanza di tutto rispetto per i popoli italici e che, anzi, era un punto di riferimento abbastanza saldo nell’immaginario collettivo dell’epoca in quanto divinità essenziale: la Mater Matuta, la madre del mattino, del sorgere del sole, della vita che comincia e come tale nume tutelare delle donne in gravidanza e della vita stessa. È questo, senza alcun dubbio, il fulcro fondamentale intorno a cui ruotava la vita della città sia da un punto di vista spirituale e sociale che architettonico e topografico. Il tempio della Mater Matuta infatti, si trova al centro di quello che è stato definito come l’Acropoli della città, ovvero il centro amministrativo e sociale della città stessa. Sull’acropoli si trovavano gli edifici di culto più importanti, gli edifici di rappresentanza ed amministrativi e, sempre qui, si svolgeva la vita pubblica delle città stesse. Nella gran parte dei casi poi, l’acropoli si trovava nel punto topograficamente più elevato del territorio, in modo che fosse ben visibile a tutti e che da lì tutto fosse visibile (provate a ricordare dove è situato il Partenone di Atene per avere un’idea più concreta). Volendo forzare un paragone con la nostra società, l’acropoli era ciò che per noi è la piazza del comune o della chiesa cattedrale. In effetti però, riconoscere l’esistenza di una acropoli in una città vuol dire sottintendere una sua vicinanza al modello topografico greco prima ed Italico poi piuttosto che Romano, la vita pubblica di Roma infatti si svolgeva nei luoghi definiti “fori”, un modello di area pubblica molto più vicino alle nostre piazze rispetto all’acropoli.
Le fasi architettoniche

I Fase IX- VII sec. a.C.: in questo periodo a Satricum come nel resto d’Italia si viveva ancora in capanne rotonde o ovali scavate in parte nel terreno per trattenere calore e permettere di stare in piedi nonostante un tetto non molto elevato rispetto al terreno. Il pavimento era in terra battuta, le pareti in giunchi o canne o arbusti intrecciati rivestiti di fango secco o intonaco nel caso delle costruzioni più importanti e la vita domestica ruotava intorno al focolare, solitamente posto al centro dell’abitazione. Satricum nasce come centro di aggregazione di capanne proprio in corrispondenza dell’Acropoli. La prima fase architettonica del Tempio è proprio una capanna con un focolare al centro ed al cui interno, in seguito, venne realizzato (forse in coincidenza con una distruzione dell’abitato) un deposito votivo per conservare oggetti di culto doni votivi (statuine, vasi in ceramica miniaturistici e non, fibule e oggetti riferiti alla sfera delle attività femminili come rocchetti e pesi da telaio). Le tombe di questo accolgono ancora cremazioni ma cominciano a comparire anche le inumazioni (ovvero la sepoltura dell’intero corpo) in tombe più importanti, di tipo familiare e costruite in forma di capanna, come a voler ricordare una intenzione di prosecuzione della vita nell’aldilà.
II Fase VII-V secolo a.C. circa: E’ il periodo in cui si comincia a costruire in muratura almeno per quanto riguarda gli edifici più importanti. Sull’acropoli di Satricum, al posto della capanna, sorge il cosiddetto “sacello”, una stanza rettangolare con tetto in elementi leggeri, al cui interno si continuava a celebrare il culto come testimoniano ancora una volta i reperti rinvenuti nel deposito votivo. Le case cominciano a venire costruite in muratura e le strade assumono aspetti più definiti e a volte, come nel caso della strada che portava al tempio, monumentali. All’inizio di questa fase si attribuisce la bellissima tomba a camera ricca di corredi in bronzo che indica la presenza di almeno una famiglia importante sul sito.
III Fase 550- 500 a.C.: . al posto del sacello ma con il suo stesso orientamento viene costruito un altro tempio, il cosiddetto “Tempio I” contornato da colonne su tutti i lati tranne che sul retro (periptero sine postico) come da tipica struttura Italica del tempio. In questa fase l’influenza Etrusca è molto evidente. Come già nella fase del sacello, il tetto del tempio costituito da travi lignee, viene ricoperto con tegole e coppi e abbellito con quelle che vengono definite “terrecotte archiettoniche”. Gli etruschi erano, in Italia, i maestri di quest’arte che hanno poi tramandato ai romani. Sui tetti dei templi venivano realizzate decorazioni anche complesse come alcune scene mitologiche. I pezzi di terracotta che componevano queste scene erano quasi sempre colorate a tinte vivaci e donavano al tempio un aspetto vivace ma affascinante e imponente allo stesso tempo. Tuttavia, nonostante adottasse una tecnica che poi diverrà consolidata, quello del tetto del tempio di Satricum è uno dei primi esempi ritrovati e presenta già motivi decorativi innovativi come la tecnica della pittura su fondo nero. Al cambiamento riconoscibile nel tempio si può associare quello delle strade, così come sarà per la fase successiva. L’importanza assunta dalla città in questo periodo è riconoscibile anche grazie alla presenza di un muro di cinta costruito con la tecnica dell’Aggere (cioè del terrapieno)

IV Fase: all’inizio del V secolo (500-480 a.C.) il tempio assume una importanza ancora maggiore nel panorama cultuale italico tanto da necessitare di una nuova ricostruzione. Viene abbattuto il Tempio I per far posto ad un tempio più grande e con un orientamento diverso rispetto ai precedenti, forse a ricalcare un nuovo assetto urbanistico della città stessa. Il nuovo tempio ha una architettura ancora più complessa della precedente. Le colonne adesso lo contornano per intero ed il tetto, più complesso del precedente, è decorato con una più grande varietà di figure e di decorazione delle stesse oltre che le statue fittili a grandezza naturale poste sulla sommità.
Nella costruzione di questo tempio è stato utilizzato anche un blocco di tufo che si è poi rivelato come uno dei ritrovamenti più importanti provenienti dal sito: il Lapis satricanum.
Questo blocco tufaceo con la famosa iscrizione è stato realizzato in età arcaica (nella fase storica a cavallo tra tempio 0 e I) probabilmente come base di una statua. Il testo è quello di una dedica (vedi testo di sfondo alla pagina) al dio della guerra Marte da parte dei sodali (i membri di una confraternita) del console romano Pubblio Valerio. L’importanza di questa dedica sta nella conferma storica dell’esistenza di questo mitico personaggio della Roma Repubblicana ritenuto uno dei padri fondatori della stessa. Publio Valerio, detto Poplicola (chiunque potrebbe ricordarlo sfogliando un libro scolastico) era stato il soggetto di una delle famose biografie di Plutarco nelle quali si legge che era stato rieletto console di Roma ben quattro volte, un privilegio concesso a pochi.

La tradizione dei depositi votivi continua anche in questo periodo. Alle spalle del tempio è stato ritrovato un deposito databile tra il 350 ed il 200 a.C. E’ evidente che le processioni per portare doni al tempio devono essere aumentate, come l’importanza dello stesso. Questi depositi votivi infatti, non sono altro che “ripostigli” in cui venivano accumulati i doni che i fedeli portavano al tempio per ingraziarsi le divinità (un po come le nostre figurine e suppellettili varie dei santi) e che non finivano nel giro del commercio operato dai sacerdoti ma rimanevano al tempio.
Le sepolture di questo periodo parlano Volsco. I volsci conquistarono Satricum nel 488 a.C. e vi rimasero fino all’arrivo dei Romani. Le tombe di questo periodo dimostrano, con la loro organizzazione spaziale complessa, l’esistenza di una società altrettanto complessa e stratificata ma comunque grossomodo egalitaria. Le tombe sono semplici fosse scavate nel terreno nelle quali il morto veniva disposto supino con più o meno corredo a seconda della sua importanza.
Rimane da chiedersi cosa succede al sito adesso, dopo la sua riscoperta.
Viviamo in un periodo storico fortunato, nel quale è possibile guardare al passato con tecniche scientifiche e trarne considerazioni che possono riguardare il nostro futuro ed il nostro presente come eredi di cultura e di bellezze naturali uniche, tuttavia spesso ce ne dimentichiamo. E così, cose belle che andrebbero valorizzate e tramandate ai nostri figli finiscono nel dimenticatoio, soffocate da cose brutte ma danarose… la domanda è: sentiamo importante conoscere la nostra storia e la storia del nostro territorio per sentirci protagonisti entusiasti dello stesso per costruire il suo futuro? Se è così ci tocca impegnarci a conservare e pubblicizzare posti come Satricum in quanto non solo belli ma utili. Il Comune di Latina e la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio hanno fatto, seppure su due strade distinte, il primo passo perché ciò avvenga. Sul sito adesso esistono due realtà: una struttura che copre e preserva il tempio associata ad un percorso didattico all’ingresso del parco archeologico che ne illustra la sostanza e l’importanza ed un percorso didattico all’interno delle ex-ferriere, in una struttura che è stata ribattezzata “area documentale” con tanto di pannelli 3D e di stereografie del sito.
Non posso fare a meno di chiedermi il perché dell’esistenza di due percorsi quando ne basterebbe uno ben fatto e del perché della mancanza di un unico ente a cui far riferimento per la fruizione di questi beni, ma l’importante è cominciare e, affinché le cose migliorino, c’è bisogno che la gente intervenga e partecipi facendo anche un gesto semplice come il visitare il sito e non lamentandosi se c’è un prezzo (troppo spesso irrisorio) di ingresso o un corrispettivo da versare a chi vi accompagna in una visita guidata. Le cose di qualità, d’altra parte, hanno un prezzo e le cose pagate assumono valore… buona visita!
La storia di Satricum
Prima del V sec. Satricum non è mai nominata ma è prima di allora che vive il suo splendore
500-480 a.C. Satricum partecipa a vari avvenimenti delle guerre Latine contro Roma come città Volsca.
390 a.C. Roma opera la divisione agraria nel territorio di Satricum avvalendosi di un trattato di pace stipulato con i Volsci. Questi, indispettiti, scatenano un ultima fiera resistenza a Roma.
386 a.C. M. Furio Camillo prima ed il dittatore A. Cornelio Cosso poi (385) sconfiggono Volsci, Latini ed Ernici presso Satricum e la conquistano. Una colonia di duemila cittadini romani, viene stabilita a Satricum.
383 a.C. I Volsci riprendono Satricum.
381 a.C. M. Furio Camillo e L. Furio tentano di riconquistare Satricum.
377 a.C. I tribuni consolari P. Valerio e L. Emilio sconfiggono i Volsci ed i Latini presso Satricum. La città viene distrutta ed incendiata definitivamente tranne il tempio.
349 a.C. I Volsci di Antium ricostruiscono la città.
346 a.C. I1 console M. Valerio Corvo conquista la città e la incendia, il tempio è risparmiato.
341 a.C. i Volsci si riuniscono presso Satricum. Dopo di che non si sa più nulla della città fino al 207 a.C. quando si racconta di un fulmine caduto sul Tempio.